giovedì 31 gennaio 2008

Primo Piano, Rai Tre


Ieri sera a Primo Piano si è parlato di operai.

Hanno trasmesso spezzoni del film-documento "In fabbrica" di Francesca Comencini, ma anche scene di altre pellicole che trattavano di lavoratori.

Colpisce ascoltare con quanta dignità si esprimono certi operai: la Comencini ha parlato di "etica del lavoro"; fa riflettere constatare la consapevolezza di chi fatica e si impegna quotidianamente, di chi sa di essere parte importante della vita di questo Paese anche se si è visto cancellato dalle televisioni tutte lustrini, tette e paillettes, soubrettine improvvisate, deputate scosciate e imprenditori alla "mi sono fatto da solo".

Non sono bastate le morti quotidiane nei cantieri e nelle fabbriche: per riportare alla pubblica attenzione chi con la propria fatica ha costruito l'Italia (e non solo) ci sono voluti i roghi della Thyssenkrupp, le trasmissioni a lei dedicate (come quella, bellissima, presentata tempo fa da Gad Lerner su La7, in cui è stata ridata finalmente la parola a chi non l'aveva da tempo).
Siamo sommersi da programmi televisivi che ci rovesciano addosso immagini di un mondo edulcolorato, fasullo, per convincerci che quanto propongono è desiderabile e autentico, per non farci riflettere sulla realtà vera che ha poco a che fare coi realityshow.
Nel mese di gennaio sono morte sul lavoro 80 persone.
E' importante che se ne parli, che si dia visibilità a chi rischia di non averne, che si prenda nuovamente coscienza di una classe sociale che fatica, lavora e rischia la vita per stipendi ingiustamente bassi.
Si può ripartire.
Ci si può allontanare dall'imbarbarimento culturale che ha portato i più a darsi farsi miti, a perseguire ideali fasulli.

Forse si può ricominciare proprio da qui. Bisogna rendersi conto che l'assenso incondizionato a tutto quanto viene proposto, pubblicizzato, venduto, conduce a un asservimento volontario.
Occorre riportare al centro la condizione della classe operaia, parlare di lavoro e di cultura, per non muoversi solo alla rincorsa di modelli di vita artificiosi e virtuali.

"L'indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica". *1)

*1) Antonio Gramsci

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Condivido totalmente ciò che hai scritto, sono temi che fortemente sento dentro. I quali, bada bene, non hanno solo un esclusivo aspetto legato alla solidarietà o alla giustizia sociale. La vera grande questione è che da essi, ovvero dalla centralità di quel humus culturale, il sistema paese deve attingere per poter ripartire, non inginocchiandosi al crescente declino. Dobbiamo, in una qualche misura, recuperare lo spirito dei costituenti, della ricostruzione post bellica. Per usare una metafora calcistica, abbiamo necessità della cultura del mediano, cioè di colui che si pone al servizio della squadra (leggi interesse generale).
Un caro saluto

dibì ha detto...

Grazie mirco per il tuo commento, come sempre intelligente e significativo. Un caro saluto anche a te