mercoledì 21 novembre 2007

10) Terza età: Vecchiaia e pregiudizio


E' difficile spiegare quanto mi insegna conoscere tante persone vecchie.

"Vecchio" è un termine che non si usa più, che suona offensivo. E invece è una parola bellissima che ha origini lontane, perché prima di nascere in latino (vetulus) si forma in indoeuropeo come weto, termine che si collega all'anno (in greco étos), ma ha anche a che fare con la terra(veterinus è colui che porta una soma, un carico -e veterinarius è chi cura gli animali da soma...-).

E' un universo differente da quello in cui ci muoviamo, quello dei vecchi.

C'è sofferenza, certo, ci sono modi diversi di vivere il reale e di rapportarsi al quotidiano indotti dalle tante demenze, più o meno gravi, che spesso intaccano gli ultimi anni degli uomini.

C'è un modo del tutto particolare di percepire lo scorrere del tempo e i ritmi del narrare si fanno più lenti e più lunghi: ascolto tanti racconti di vite lontane, famiglie numerose, guerre, matrimoni contratti giovanissimi...
Tutto, sempre, conferma l'importanza del rispetto dell'altro, essenziale, soprattutto in condizioni difficili.

Ammiro le ragazze che lavano, pettinano, accudiscono tanti anziani con tenerezza e attenzione. nella residenza in cui si trova mio padre
Trovo profondamente ingiusto che abbiano retribuzioni molto basse, quando il lavoro che svolgono è tanto importante.
E' una delle follìe di questa società, pagare profumatamente chi presenta uno spettacolo televisivo, ma anche chi mostra gambe e sedere in un balletto mal fatto, e pagare pochissimo chi ha la responsabilità grande di occuparsi di persone spesso non autosufficienti, spezzandosi la schiena per sollevarle, adagiarle nel letto, cambiarle, e facendo tutto con amore.

E' bello che la residenza che conosco sia aperta tutto il giorno, dalla mattina alle 6 fino alle 22 di ogni sera, per chi vuole entrare in visita, ma anche per chi vuole (e può) uscire: trovo sia indice di trasparenza, necessaria se si vuole provare che si lavora con coscienza.

"Invecchiando si diventa più tolleranti; non vedo commettere alcun errore che non abbia commesso anch'io" *1)

"La vecchiaia è la più inattesa di tutte le cose che possono capitare a un uomo" *2)

*1) Goethe
*2) Leone Tolstoj

9) Terza età e oltre: Elsa e Genova



Elsa ha l'Alzheimer.

Cammina, cammina, cammina come nelle fiabe, perché la sua malattia le fa fare tanta strada, tutti i giorni, senza mai sostare, se non quando le gambe, stanche, non la sorreggono più. Solo allora Elsa si ferma, si abbandona sulla poltroncina per una manciata di minuti, le braccia incrociate nel grembo, la borsetta nera ben stretta, sempre sorridente, serena.

Elsa ha capelli corti, grigi e ricci, gli occhiali che rendono grandi i suoi occhi nocciola e la fanno assomigliare a uno scoiattolo e labbra sottili.

Non è tanto alta, Elsa la dolce. non è mai sgarbata.

Genova è la sua città natale e lei ci torna tutti i giorni.
Saluta educatamente le persone che incontra nel salone della residenza, poi passa dal bar, si rivolge a un'assistente, a un ospite o a un'infermiera e chiede, con la sua vocetta sottile, acuta: "Per cortesia, mi indica la strada per Genova?".

Una volta ricevute le preziose informazioni ("Svolti a destra, poi vada sempre dritto e segua la via"), si incammina decisa. Impiega un bel po' di tempo, per compiere tutto il percorso. Se non fa freddo gira attorno alla residenza, percorrendone il perimetro in giardino; se il tempo è brutto, allora non trascura nessun corridoio, nessuna sala, nessun androne del piano terra.
Quando torna contenta e annuncia trionfante: "Sono stata a Genova!" qualcuno le chiede sempre:"Raccontaci, raccontaci tutto!". "Sono stata a trovare mia mamma, abbiamo fatto la pasta insieme, poi siamo uscite per negozi..." comincia Elsa, gentile.

Alessandro Panagulis, rinchiuso in una cella-tomba, diceva che non sarebbero mai riusciti a imprigionare i suoi pensieri, quindi lui sarebbe rimasto, comunque, un uomo libero; l'Alzhaimer per Elsa non è diventato una cella, perché lei se ne è fatto un compagno di viaggio e lo prende a braccetto e cammina, cammina, cammina, verso la mèta che ha nel cuore e che, col cuore, raggiunge ogni giorno.

martedì 20 novembre 2007

Nasce un nuovo partito...

E così quella che doveva essere l'ultima settimana dell'Unione è stata l'ultima settimana della Casa delle Libertà...

Forza Italia si trasforma repentinamente... e Maurizio Crozza su "Ballarò", a Rai Tre, osserva:
"Volevano chiamarlo P.D.P., partito del popolo, ma poi hanno rinunciato: si sono accorti che si può leggere Paperon De Paperoni"...

lunedì 19 novembre 2007

8) Terza età e oltre. L'amore non ha età... e, spesso, non ha memoria


Gustavo è arrivato nella residenza per anziani in cui abita anche mio padre (vedi post precedenti), accompagnato dal figlio, professore di lettere.

Gustavo viaggia verso i 95 anni; il professore è un uomo buono e gentile che risiede lontano, preoccupato perché il padre ha perso la cognizione del tempo e non può più abitare da solo nella bella casetta con giardino in cui risiedeva (lo hanno visto salire sulla magnolia per potarla a tarda sera; abbuiava e faceva freddino, ma per lui era mattina ed era appena iniziata la primavera).

I primi giorni, Gustavo cammina nel giardino della residenza con lo sguardo perso.
"Che albergo è questo?... Scusi signora, ma non ho in tasca il portafoglio e mi chiedo come potrò pagare.. Devo farmi portare la scatola di latta che ho nell'armadio... dentro, ci saranno almeno cento lire e con quelle sarò a posto per un po'.... Lei sa dirmi dove dormirò stanotte?": queste sono alcune delle domande che, in tono pacato e attento, ma preoccupato, pone a chi incontra.

Poi tutto cambia. Accade un miracolo. Gustavo (vedovo da molti anni) scopre di avere una moglie!
Lei è per tutti "la Veneziana". La Veneziana è su una carrozzella, perché da tempo le gambe non la reggono più. Ha capelli candidi e occhi azzurri vivaci.

Le sono bastate poche parole per convincere Gustavo di essere la sua dolce metà.
"Ma cossa ti fa sempre in ziro! Ti xe mio marìo, ti devi restar qua, vizino a me!".

Inizialmente c'è stato qualche piccolo fraintendimento sul significato di "marìo" che Gustavo, ligure da generazioni, credeva significasse "Mario", non cogliendo l'importanza dell'accento sulla "i". "Guardi che io sono Gustavo,non Mario!" protestava... "Lo so,lo so! Mi go deto Marìo, non Mario!Ma-ri-to, insoma! Ma-ri-to!" ha provveduto a chiarire la Veneziana, sorridendogli, ma con un tono deciso che non ammetteva repliche.

Da quel giorno Gustavo e la Veneziana sono inseparabili: lui non si sente più solo, né spaesato, perché lei, dalla carrozzella, lo dirige: "Xe ora de pranzo... Ho sete, andemo al bar, a destra entrando..." e così via; e lei è contenta perché si è garantita compagnia, ma soprattutto ora ha un cavalier servente che la porta dove vuole e la tratta con grande rispetto.

Quattro sberle in padella

Vi segnalo, qualora vi fosse sfuggito, un libro interessante, scaricabile dal link che vi copio qua sotto, sulla nostra alimentazione e su tutte le porcherie che, inconsapevoli o meno, ingurgitiamo...
gaiaitalia.it/Libri/4SberleInPadella.pdf

sabato 17 novembre 2007

Infanzia. 4) Viva la noia!


Una bimba di sette anni oggi mi ha detto: "Sono davvero stufa di dover sempre correre dappertutto. Lavoro più del mio papà!". Suo padre, infatti, trascorso il tempo dedicato alla sua attività, può fare ciò che vuole; la piccola, amata figlia, no. Dopo la scuola va al corso di inglese, poi ha le lezioni di nuoto, o di danza. Arriva a casa in tempo per la cena, poi può guardare un po' di televisione e viene messa a letto.
"Mia figlia non ha tempo per annoiarsi!" mi ha detto, orgogliosa, in perfetta buona fede, la sua mamma. "Peccato!" le ho risposto.Mi ha guardato come se fossi matta. Ma è talmente importante avere un proprio spazio mentale per giocare, creare, e... annoiarsi... Noia significa scoprire che c'è un mondo "dentro" e non solo un più o meno frenetico mondo "fuori", significa imparare a stare con se stessi, senza stimoli esterni.
Noia e ascolto sono parenti stretti, perché il silenzio favorisce la riflessione, abitua a cercare, a ideare, a uscire da soli dalle proprie piccole frustrazioni. Insegna a non avere paura del silenzio e delle assenze, aiuta a conquistare la propria autonomia.
"Una delle condizioni essenziali della noia - diceva Bertrand Russel- consiste nel contrasto tra le circostanze presenti e qualche circostanza più gradevole che si impone irresistibilmente all'immaginazione". *1)


*1) La conquista della felicità -Bertrand Russel- TeaDue, Milano, 1997.



venerdì 16 novembre 2007

Quando la pubblicità esagera


Se per caso vi fosse sfuggita segnalo a voi tutti, amati visitatori del mio piccolo blog, una piccola notizia interessante, letta sul visitatissimo www.jacopofo.com

L'Antitrust ha istituito un numero verde per segnalare le pubblicita' ingannevoli
L' 800.166.661 è attivo in tutta Italia dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 14. Le telefonate sono gratuite, purché accettiate di ascoltare degli spot.

Non sarà facile decidere quale pubblicità non sia ingannevole, perché pochissime informano e molte illudono, ma almeno potremo segnalare quelle più smaccatamente bugiarde che garantiscono l'impossibile...

martedì 13 novembre 2007

Dopo Lupo e Lapo mi aspettavo Lipo...


E così il bimbo appena nato a John e Lavinia Elkann si chiamerà Oceano.

Commento inviato a www.dagospia.it da una lettrice di quel blog:

"Ho un amico che lavora in catena di montaggio in Fiat. Avrà un figlio a gennaio.
Visto il suo ruolo nell'azienda, ha deciso di chiamare il nascituro Lambro".

lunedì 12 novembre 2007

La morte di Gabriele Sandri: riflessioni

E' morto un ragazzo, si chiamava Gabriele Sandri, e ai suoi cari mando un forte abbraccio.

E' una tragedia, perdere un figlio, o un fratello, così, non c'è dubbio.


Ma quanto è accaduto non ha niente a che fare con quello che è seguito.


Un poliziotto lo ha ucciso, e credo stia molto male anche lui, ora, e penso che stia vivendo un suo dramma.


Gabriele non è morto perché martire della propria squadra. L'agente che ha sparato nemmeno sapeva si trattasse di un tifoso, quindi quello che è successo dopo (scontri in tutta Italia, cortei contro le Forze dell'Ordine), non ha alcun senso, se non la voglia di sfogare una rabbia grandissima che sempre più spesso parte da un pretesto e trova sbocco per le strade, o negli stadi, rabbia di cui bisognerebbe indagare le cause.

Viviamo in un mondo in cui non si riflette più e spesso, si grida, perché insultare è facile e redditizio: fa audience in tv, porta seguaci tra i superficiali impauriti e i qualunquisti insoddisfatti, evita il vero confronto, perché facilita chi non elabora idee, non propone progetti, ma slogan.


L'odio di piazza contro la Polizia,ha qualcosa di simile all'odio espresso contro i Rom o i Rumeni: è un sentimento che generalizza, che non ha il minimo rispetto per il singolo, ma appiattisce tutto in categorie, in un evidente bisogno di semplificazione estrema della realtà.


Trovo drammatico questo modo di sragionare,di cui, del resto, abbiamo mille esempi (purtroppo anche in Parlamento).

Penso abbiano molta responsabilità, a riguardo, coloro che non reputano importante un comportamento etico, ma anzi esaltano i comportamenti furbetti, affermano e smentiscono, smentiscono e affermano, invitando all'illegalità, a non pagare le tasse, a farsi giustizia da soli.

Una maggior attenzione alla giustizia sociale e all'equità, una maggior importanza alla cultura che rende l'uomo libero, e non alla capacità di emergere comunque, di apparire comunque, o di esibire status symbol e corpi come fossero status symbol essi stessi, forse produrrebbe qualche cambiamento.

La nostra è una società drogata: varie sostanze ci garantiscono tranquillità o energìa a poco prezzo; allo stesso modo, a poco prezzo ci propongono soldi in prestito con pubblicità martellanti e ci mostrano personaggi che raggiungono facilmente la fama con poca fatica. Impegno, conoscenza e fatica sembrano inutili, superati.

Abbiamo disimparato a elaborare. Non sappiamo elaborare un lutto (e ai funerali spesso i presenti sono un pubblico che si lascia andare a grida e a applausi inappropriati), non sappiamo elaborare un dolore (e lo sfoghiamo urlando e sfasciando, esprimendo odio come se piovesse), non sappiamo come elaborare una sconfitta, come affrontare una difficoltà o una giornata di noia (e si va diffondendo sempre più, tra i giovani, l'abuso di alcool).


L'elaborazione, del resto, abbisogna di tempo, di silenzio, di riflessione e di ascolto, non certo dei ritmi sincopati di oggi...





"Che cos'è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall'ansia economica di esserlo? Che cos'è che ha trasformato le «masse» dei giovani in «masse» di criminaloidi? L'ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una «seconda» rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la «prima»: il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo «reale», trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c'è più scelta possibile tra male e bene. Donde l'ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall'assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c'è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c'è stata: la scelta dell'impietrimento, della mancanza di ogni pietà". *1)


"La violenza aumenta l'odio e nient'altro.La più grande debolezza della violenza è l'essere una spirale discendente che dà vita proprio alle cose che cerca di distruggere. Invece di diminuire il male, lo moltiplica".*2)

*1) Pierpaolo Pasolini
*2) Martin Luther King

Ieri sera, Freccero su Rai Tre


Ieri sera ho guardato "Che tempo che fa".
Tra gli ospiti c'era Carlo Freccero.
Mi è piaciuto quello che ha detto riguardo la televisione.
Si parlava di Enzo Biagi e del suo saper raccontare i fatti.
Freccero ha rilevato che Berlusconi, dopo il famoso editto bulgaro, affermò "Nelle mie televisioni certe cose non succedono", perché i suoi programmi erano (e sono) solo fiction, varietà e, intrattenimento.
Carlo Freccero ha sottolineato che anche la Rai si è adeguata ai toni di Mediaset, perché i fatti sono spariti dalle trasmissioni e siamo stati invasi dalla cronaca rosa e dalla cronaca nera, raccontate col linguaggio della fiction, con i suoi stessi toni, con la sua stessa capacità incantatrice, nei confronti di chi guarda, che non fa riflettere, ma si accontenta di stupire e sorprendere. "Biagi" ha detto Freccero "indagava, si poneva domande; adesso è tutto un bla-bla-bla di commenti".
Ascoltandolo rivedevo mentalmente i vari programmi di Vespa sui vari delitti italiani, le continue trasmissioni su Garlasco, i commenti sul fidanzato biondino quasi si trattasse non di un indagato, ma del protagonista cattivo di una soap, l'improvviso silenzio, riguardo la vicenda, non appena questa passa di moda, il tono impostato dei cronisti quando intervistano i famliari di una vittima e le loro stupide, insopportabili domande, volte a stimolare reazoni emotive in chi ascolta ("Cos'ha provato? Cosa pensa di chi ha ucciso? Cosa prova, adesso? Le manca sua figlia?"). Tutto, fuorché giornalismo, insomma. Cronaca nera e cronaca rosa nei TG per affascinare, stordire, abituare a non pensare, a non riflettere. Anche da lì nascono gli atteggiamenti superficiali e razzisti che portano a criminalizzare intere categorie di individui. Si consuma tutto, anche l'informazione, come fosse un hamburgher, magari poco digeribile, magari malsano, ma che invoglia, con le sue salse e salsine colorate.

sabato 10 novembre 2007

Siamo ancora razzisti


Quando ero piccola la nonna mi raccontava della sua amica Ankoska, una violinista polacca, e di suo figlio pianista. Mi parlava di loro e del loro vivere nascosti, durante la guerra, perché erano ebrei.
Ascoltavo e pensavo che fatti del genere appartenevano a un'epoca molto lontana (da bimbi il tempo è dilatato) e che sarebbero rimasti solo nel ricordo di chi li aveva vissuti.
Quando mio figlio frequentava la scuola materna, un giorno arrivò a casa e mi disse: "Mamma, tu non sai, non puoi immaginarti cosa ho scoperto oggi! Esiste una cosa sciocca, ma assurda davvero, che non è solo nelle fiabe come le streghe, ma c'è veramente!
E si chiama razzismo.
Vuol dire che se un bambino ha un colore che non è rosa, ma magari è scuro come il mio amico Davide, o magari prega un suo dio in un modo diverso, o si veste un po' strano, o vive in una roulotte, allora è Diverso!
E' incredibile! Diverso e meno bello e meno buono di me!
E' una vera stupidaggine!
E' ovvio che si sia diversi, lo sono i colori, i fiori, le note, per fortuna, sai che mondo noioso, se no...
Ma chi può avere detto questa cosa mamma, e perché certi ci credono?".

Una ragazza rumena mi ha confessato che, essendo casualmente nata in Ucraina, quando si propone come badante o colf (in nero) evita di raccontare che la sua famiglia viene tutta dalla Romania per non essere guardata con sospetto.

Mi sbagliavo, da piccola. Il razzismo non è mai sparito. Anche i morti hanno un valore diverso a seconda della loro nazionalità. Se si tratta di gente di altre terre che muore affogata, mentre attraversa il mare su un canotto, se ne parla velocemente, quasi con fastidio. Se si tratta di un nostro connazionale, allora ci viene raccontata la sua vita, ci viene mostrata la sua casa, intervistano i suoi cari, scappa qualche lacrimuccia e anche l'intervistatore ha la voce bassa e partecipe.

Mi fa un po' impressione verificare come certi vecchi discorsi tornino a circolare, giocando sulla paura: paura di chi ha tradizioni differenti, paura della povertà dell'altro, paura di perdere i propri privilegi...

Su www.gadlerner.it c'è un bel post corredato da foto che dimostrano come si possa fare informazione di parte anche semplicemente previlegiando alcune immagini e censurandone altre.

Davvero è così difficile capire che il mondo è di tutti, che assicurare a tutti giustizia e cultura è il solo presupposto per un'integrazione effettiva che porti alla convivenza civile?

venerdì 9 novembre 2007

7) Terza età e oltre. Mio padre: a volte scappo via


Giorni difficili.
Faccio molta fatica a tornare da papà, quando mi capita di non riuscire ad andare a trovarlo per una manciata di giorni di seguito.
Vengo pervasa da un'angoscia sottile, fatta di sensi di colpa e malinconia.
Forse la mia è solo consapevolezza della vita che passa crudele, cancellando memoria dalla mente di mio padre, sfumando visi e ricordi, annullando emozioni, facendo del tempo una variabile inutile, impazzita.
Forse quello che provo è solo un insieme di rabbia e dolore, perché il papà che conoscevo non lo potrò più incontrare, perché è sparito chissà dove, e mi manca.

Per tornare da lui. mi devo imporre di farlo, e questo mi fa male, mi fa sentire ingiusta.

Quando ritorno però, e scorgo i suoi grandi occhi azzurri, il suo sguardo un po' perso, simile a quello ceruleo di certi bebé, incapaci di fissare la propria attenzione troppo a lungo su qualcuno o qualcosa, perennemente stupiti, mi basta un sorriso per ritrovarlo, per riscoprire, forte, l'affetto che ci lega e per provare un'immensa tenerezza.
In un istante allora, rimpiango i giorni sprecati, e torno a essergli figlia.

La sua demenza cerebrovascolare mi insegna ogni volta qualcosa. Oggi gli ho letto qualche verso di Dante. A lui sono venute le lacrime agli occhi. Ha mormorato "Che grande! Che grande uomo! E'... troppo bello...". Ecco: la bellezza non l'ha dimenticata, e la ritrova negli scritti amati, nelle musiche preferite, ma anche nelle ragazze che lo assistono. Chiama "Occhi belli" una, "Bellissima" un'altra; dice "Sei meravigliosa" a una, "Sei così graziosa" a un'altra e ammira l'armonia che esprimono quelle giovani donne, e ne ricava serenità. E' caduto fuori dal tempo e non si ricorda mai quanti anni ha. "Non è poi un argomento così interessante", osserva sorridendo, se si parla di età. Chissà, forse, non ha poi così torto.


mercoledì 7 novembre 2007

Addio, Enzo Biagi


Ieri mattina si è spento Enzo Biagi, una brava persona, un uomo che ha vissuto in modo onesto e coerente.


Ci ha regalato molto, con i suoi libri e le sue interviste, ma soprattutto con la sua esistenza consapevole, lontana da opportunismi, superfiicialità e compromessi.

Gli volevo bene, come gli volevano bene tanti italiani.

Sono giorni tristi perché lo abbiamo perso; aveva la grandezza di chi sa essere ironico e la sua malinconia era sempre illuminata dall'amore per la vita. Dalle sue parole trasparivano impegno e umanità.

Chi lo ha offeso e ferito, oggi dovrebbe solo vergognarsi e tacere.


domenica 4 novembre 2007

Nata nel 1903


Stamattina guardavo una vecchia, amata foto di mia nonna e sorridevo.

Nella foto nonna ha vent'anni, i capelli mogano a caschetto (allora quella pettinatura si chiamava "alla maschietta"), gli occhi vivaci e scuri dall'espressione divertita, il nasino all'insù e la bella bocca ben disegnata che sorride con aria di sfida.

E' ritratta di tre quarti, il vestito chiaro di chiffon a scoprire una spalla.
So che quell'immagine le costò una sfuriata del giovane marito, perché il fotografo la espose nella vetrina del suo negozio e ben presto si radunò, lì davanti, una piccola folla di ammiratori di quella ragazza che si offriva agli sguardi in quella posa osé.
La scena si svolgeva in una cittadina del nord della Francia, non nella ben più puritana Italia, ma anche lassù, a quei tempi, una spalla nuda faceva scandalo.

Nonna raccontava divertita quanto era accaduto, lei che non s'era mai adeguata ai ruoli che allora venivano proposti ed imposti a una donna, lei che aveva voluto studiare agraria e amava la chimica, quando le giovani fortunate che avevano la possibilità di studiare ed un padre che permetteva loro di farlo, sceglievano, in genere, tra l'Accademia d'Arte e le magistrali.

Nonna mi portava nei boschi, quando non volevo mangiare, e mi faceva appetitosi, piccoli panini farciti, poi mi invitava a sedermi ai piedi di qualche grande, vecchio albero, e mi chiedeva di stare in silenzio e ascoltare.

Lei mi ha insegnato che anche i silenzi hanno una voce.

Ho imparato così a distinguere i canti di tanti uccellini, lo stormire delle fronde al passare del vento, i passetti felpati di piccoli animali sull'erba (scoiattoli, talpe in procinto di scavarsi la tana)... poi la nonna mi suggeriva: "Adesso guarda, ma cerca di vedere, anche" e restavo a osservare i mille colori che chiamiamo "verde" ed il loro variare al variare delle luci e delle ombre, l'universo di foglie differenti e il disegno dei tronchi e dei rami, e i fiori, e le erbe selvatiche e il lavorio incessante dei piccoli animali nascosti nel prato.

Nonna mi ha fatto molti regali, insegnandomi tanto, ma, forse, il dono più importante me lo ha fatto poco prima di lasciare la vita, quando io, disperata, non volevo accettare che se ne andasse, e lei, con poca voce, serena, mi ha mormorato: "Vedi, è come essere state a una splendida festa. Ti diverti, balli, conosci gente interessante, ma poi arriva un momento in cui ti senti così stanca che desideri solo andartene a letto, perché chiudere gli occhi ti pare quanto di più desiderabile al mondo!", poi mi ha raccomandato "Niente musi lunghi, per favore, niente retorica sentimentale. Fate un buon pranzo tutti insieme e ascoltate della buona musica".
E il suo funerale fu come una festa e tutti credevano fosse morta una ragazza, perché c'erano un sacco di miei coetanei, suoi amici da sempre.

"Una sola cosa mi spiace" diceva spesso "non poter curiosare tra una manciata di anni per vedere cos'avranno scoperto di nuovo, quali novità cambieranno questo mondo che è così diverso da quand'ero piccola io".

Non credo che nemmeno lei avrebbe potuto supporre mutamenti radicali e incredibili come quelli a cui la mia generazione ha assistito, insieme col perpetrarsi di problemi antichi e di pregiudizi che non se ne sono andati nemmeno col nuovo millennio e che chissà quando ci lasceremo alle spalle.

giovedì 1 novembre 2007

Mi ricordo di te...



Sguardi.
Sguardi che restano per sempre nella memoria, come quello di mia madre, che non c'è più e mi manca, e mi mancano i suoi occhi grandi, i suoi occhi sempre un po'malinconici, i suoi occhi colore delle foglie d'autunno, occhi "da madonna fiorentina" diceva papà, che a me invece facevano pensare a certi cuccioli.
Sguardi.
La prima volta che qualcuno ti vede in modo diverso, e ti accorgi che non sei più bambina.

Gli occhi neri di Mario, l'amico perso all'improvviso, sparita la sua voce, sparito il suo sorriso, spariti i suoi racconti di viaggi in paesi sconosciuti, dove le donne vivevano dietro porte bianche di pietra e solo raramente ne incrociavi una per la strada e ti sfiorava appena il suo sguardo sfuggente, misterioso, profondo.

Si potrebbe raccontare un'esistenza intera, raccontando gli sguardi che l'hanno attraversata.

Questa è una mattina calda di sole e non pare nemmeno ottobre. Ma la malinconia non sempre si accompagna alle nuvole e oggi mi è vicina. Così trascrivo, per chi casualmente, passando di qui, leggerà, una bella poesia di Nazim Hikmet, e la dedico a tutti coloro che, oggi, vorrebbero incontrare uno sguardo già distante, già troppo lontano.



I tuoi occhi


I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all’ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,
sono cosi, le spighe, di primo mattino;

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s’illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.


I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
Così sono d’autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.


I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà giorno, mia rosa, verrà giorno
che gli uomini si guarderanno l’un l’altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.